intervento di Anna Maria Bianchi all’Assemblea annuale della rete di carteinregola, 30 novembre 2017
ROMA, UNA CITTA’ IN DECOMPOSIZIONE E UNA NUOVA POLITICA DEI CITTADINI
di Anna Maria Bianchi
Roma è, a oggi, una città in decomposizione. Letteralmente.
Roma è terra di mafie. A Ostia, che è un consistente pezzo della Capitale, alla luce del sole. Nel resto della città nei tanti gangli vitali, occupati anche con attività apparentemente lecite. E’ tutto nel rapporto Mafie nel Lazio, l’ha raccontato qualche settiamana fa il Procuratore Giuseppe Pignatone.
Ma soprattutto a Roma c’è stata Mafia Capitale. Anche se la vogliamo chiamare “Corruzione Capitale”, è ben più estesa e capillare di quanto sia emerso nelle aule giudiziarie. E’ una cappa soffocante che opprime Roma da decenni. Dove i diritti diventano favori da pagare o da restituire. Dove i furbi e i prepotenti spadroneggiano perché chi dovrebbe denunciare non denuncia, chi dovrebbe vigilare non vigila, chi dovrebbe difendere l’interesse pubblico non lo difende. E se non è mafia è qualcosa che le assomiglia parecchio.
Mafia Capitale, o Mondo di Mezzo, è passata senza quasi lasciare tracce. Nessuna autocritica dei partiti coinvolti, anzi, la condanna per la “sola” corruzione è diventata una assoluzione da vantare.
Ma neanche la maggior parte della cittadinanza se n’è accorta. Da subito.
Pochi giorni dopo le prime perquisizioni in Campidoglio e i primi arresti, durante un incontro alla Casa della città con assessori, tanti comitati hanno riproposto il triste elenco delle vertenze dei loro territori, le stesse che ripetevano da anni. Vertenze sacrosante, ma faceva davvero effetto sentire negli interventi nessun accenno a quello che era appena successo.
Più che indifferenza, senso di impotenza. Che è continuata e peggiorata fino ad oggi.
Obiettivi sempre più minimali quelli dei territori: una fermata d’autobus, il rifacimento di un giardinetto, non avere troppa immondizia sotto casa, e naturalmente le sempiterne buche nelle strade. In città da un po’ di mesi sono apparsi limiti di velocità a 30 allora. E non perché finalmente qualcuno ha realizzato le famose isole ambientali. Molte sono arterie importanti. Perché non si riescono a riparare le voragini nell’asfalto.
Quello che era stato faticosamente (forse troppo timidamente) avviato dall’Amministrazione Marino, è stato fermato da 24 firme da un notaio.
L’ultima spiaggia dei romani è stato il voto di massa al MoVimento Cinque Stelle, un anno e mezzo fa. Anche se la maggior parte non aveva la minima idea di chi fosse Virginia Raggi e di cosa proponesse il M5S per risolvere i problemi della città. Sapeva però che era un moVimento che non aveva responsabilità in tutto quello che era successo prima, che attaccava duramente la casta, i privilegi, gli sprechi e tanto gli bastava.
Oggi molti sono delusi perché nella loro vita quotidiana è cambiato poco o niente.
Ma se le buche e l’immondizia non possono essere il parametro per valutare l’operato di chi – come la Giunta Marino – si è trovato davanti un Moloch di mala amministrazione stratificata da anni, più passano i mesi, più la maggioranza M5S sembra perdere la sua spinta propulsiva. In grande difficoltà anche solo per gestire l’ordinario, spesso lancia iniziative roboanti che, a un’analisi più approfondita, si rivelano operazioni di facciata (non tutte naturalmente). E troppo spesso l’odierna maggioranza sembra preoccuparsi più di tamponare emergenze e salvare la faccia in vista del voto nazionale che di dare le nuove prospettive promesse alla città.
Intendiamoci: neanche un miracolo avrebbe potuto cambiare lo status quo in poco tempo, e nelle loro fila allignano molte persone che ci provano, ci credono e si impegnano. Ma quegli sforzi incidono assai poco su una situazione che richiederebbe un esercito compatto, equipaggiato e assai esperto. E anche un rapporto profondo con la città, che non può limitarsi a qualche decina di attivisti neanche radicati nei territori. Invece c’è una divaricazione sempre più palpabile, soprattutto per la diffidenza dei Cinque Stelle verso tutti quelli che non fanno parte del MoVimento, comprese le tante realtà della società civile, che li spinge a tenere a distanza proprio quei cittadini attivi che avrebbero potuto essere interlocutori motivati e disinteressati per raggiungere lo scopo comune della partecipazione della cittadinanza.
Una partecipazione che per essere autentica dovrebbe nascere dal confronto tra persone in carne e ossa, per riattivare il dibattito collettivo sui territori, per ricostruire comunità disperse. L’esatto contrario della mesta partecipazione on line praticata dal M5S, che sembra preferire un rapporto virtuale con un singolo cittadino/utente, svilendo una grande occasione democratica a uno scambio da social network (1). E contribuendo ulteriormente a una frantumazione sociale che nella Capitale si tocca con mano già solo percorrendo le sue tante periferie.
Ma a Roma la crisi riguarda tutta la politica. E soprattutto la classe politica, con un centro sinistra in buona parte imploso, una sinistra sinistra sempre più esigua e assai poco radicata, un centrodestra in fase di riorganizzazione e pericolosissime rinascite nell’estrema destra.
L’opposizione PD, che del resto non si è mai opposta molto, se non verso il suo Sindaco Ignazio Marino, l’unico che in tanti anni aveva provato a cambiare qualcosa, è scomparsa. Un lento harakiri che non cerca neanche di salvare le apparenze. Sul sito del partito romano, a pochi giorni dal voto di Ostia, non c’era neanche un box, un articolo, un banner, a sostegno del suo candidato Presidente. L’articolo più recente era l’intervento del segretario Renzi alla Festa del Partito Democratico, parecchie settimane prima.
L’opposizione di destra ripete i soliti copioni per il suo target affezionato, certa che un ulteriore raccolto arriverà da solo con poco sforzo grazie ai soliti slogan tipo “prima gli italiani”. Casa Pound aspira a seggi in Parlamento.
Ma, per quanto ci riguarda, la vera emergenza è che anche i cittadini stanno gettando la spugna.
La fredda morsa del degrado urbano ha raggiunto anche le coscienze.
Il paesaggio romano che vediamo, con le buche, la sporcizia, l’erba non sfalciata, gli arredi urbani vandalizzati, le costruzioni abusive, le auto in tripla fila, sono la rappresentazione fisica dell’anima della città. Un’anima ferita e perduta. Abitata da una moltitudine di cittadini che non ha più sentire comune né appartenenze, che ha scelto l’arrangiarsi individuale, rinunciando alla dignità e al futuro per garantirsi la sopravvivenza almeno nel provvisorio presente.
Perché non bastano le ingiustizie o le condizioni intollerabili per suscitare rivolte e riscatti. La gente deve avere la speranza nel cambiamento, pensare che il suo impegno abbia qualche chance di migliorare la propria vita, quella dei propri figli, quella del resto del mondo.
Speranze che a Roma, come le chiacchiere, stanno a zero.
CHE FARE
Noi di Carteinregola vogliamo continuare a lavorare per costruire alternative insieme ai cittadini.
Ma non bastano più le idee, le città-che- vogliamo, le proposte politiche. Discorsi buoni per minoranze lucide sempre più risicate. Per parlare ai tanti che farebbero la differenza, le idee più giuste non è detto che siano abbastanza convincenti. Perchè per cambiare le cose bisogna anche cambiare le persone, curare la loro disillusione, ricostruire la consapevolezza. Solo così si possono riaprire le teste alla speranza nel cambiamento. Curando l’anima di Roma.
E poi dimostrare che si fa sul serio. Nelle campagne elettorali abbiamo chiesto ai candidati di dimostrare che lei loro programmi non erano solo le solite promesse acchiappavoti, e di fare alcuni passi concreti subito, prima della consultazione. A partire dalla trasparenza sulle loro storie, su chi li sosteneva e finanziava.
La gente non si fida più dei bei discorsi, anche quando li fanno i cittadini. Chi davvero vuole lavorare per il cambiamento deve dimostrarlo da subito. Possibilmente lontano dalle elezioni, lontano dai dibattiti che non escono fisicamente dal centro città, e prendendo un impegno che durerà a lungo, comunque vada.
Andando nei territori e incontrando persone. Cominciando da quelli che conosciamo poco. Con umiltà e senza verità in tasca.
Noi abbiamo deciso di ricominciare da una serie di esplorazioni insieme ai comitati dei tanti quartieri di Roma, che abbiamo chiamato “Piediperterra”. Per conoscere le tante città, incontrare le persone che ci vivono e ci lavorano. Una tappa alla volta per fare nostra Roma e fare di noi stessi tessuto connettivo, costruire e allargare una rete che metta in in comunicazione le tante schegge disperse e ricomponga il mosaico reale e virtuale della nostra identità collettiva.
Ma vogliamo anche trovare forme e percorsi per ricostruire un dibattito politico. Riprendere il percorso del nostro Laboratorio per una politica trasparente e democratica, con cui, prima delle elezioni del 2016, avevamo organizzato incontri con politici di diversi schieramenti, per farci raccontare come funzionavano i loro partiti e movimenti. Il nostro obiettivo – allora fallito, ma che crediamo ancora valido – era rendere il laboratorio uno spazio di confronto per donne e uomini di buona volontà di diverse appartenenze politiche e di diverse realtà civiche, per superare le divisioni aprioristiche e cercare dei terreni comuni.
Oggi ci sembra più necessario che mai.
Perchè non sarà un partito, un movimento, e nemmeno una lista civica, a riuscire a ricostruire la dignità di Roma (come quella del nostro Paese). Solo una comunità che riesca ad accogliere soggetti politici e civici diversi, con storie e prospettive anche distanti, ma che si riconoscono nei valori della nostra Costituzione, disposte a lavorare sui punti condivisi, può spezzare l’incantesimo di una politica sempre più tossica e lontana dalla vita delle persone e dall’interesse collettivo.
E’ una sfida difficile, forse impossibile.
Su di noi incombe la legge di Murphy delle battaglie civiche. Le battaglie giuste sono difficili da spiegare, faticose da portare avanti e le vittorie non sono mai definitive. Mentre le intenzioni efferate trovano spontaneamente un sacco di proseliti, si comunicano con uno slogan, producono danni istantanei e definitivi.
Ma comunque vada, essersi impegnati per i diritti e la dignità sarà sempre una vittoria. Se si combattessero solo le battaglie che si è sicuri di vincere, non avremmo oggi la libertà e i diritti che ci hanno regalato tanti che hanno rischiato e dato la vita perché fossimo oggi qui a parlare di un mondo migliore.