Sono davvero stufa di tutti questi trombettieri che vanno criticando ogni decisione del Governo, che, qualunque cosa faccia e decida, sbaglia. Sembra che ci prendano gusto a individuare la falla, la dimenticanza, l’incongruenza. Come se le misure drastiche e drammatiche prese in queste settimane non fossero per salvare la vita delle persone ma per fare dispetto, per mettere in difficoltà quella categoria, limitare la libertà delle persone, persino danneggiare la Chiesa. E trovo allucinante la posizione dei Vescovi, che per primi dovrebbero mettere la salute dei loro parrocchiani – molti di una certa età – davanti a tutto e che invece fanno polemiche perchè non viene data la possibilità di fare la Comunione. Come una qualsiasi lobby di imprenditori che si lamenta per la mancata riapertura del proprio settore merceologico. Meno male che musulmani e valdesi non la pensano allo stesso modo. E meno male che Papa Francesco, davvero una delle migliori figure in questo panorama, oggi ha dato pieno sostegno alle misure del Governo.
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Task force al maschile e al femminile, come al solito
La perenne sproporzione dei generi nella task force governativa e il “contentino” della Ministra delle Pari Opportunità.
di Anna Maria Bianchi Missaglia
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella conferenza stampa del 10 aprile ha annunciato che per la “fase 2” dell’emergenza legata al Coronavirus, si avvarrà di un Comitato di esperti in materia economica e sociale. “Il Comitato avrà il compito di elaborare e proporre misure necessarie a fronteggiare l’emergenza e per una ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive” . Il Comitato opererà in coordinamento con il Comitato tecnico scientifico. In calce la composizione della “Task Force per la fase 2, il Comitato di esperti in materia economica e sociale“, come titola il comunicato sul sito del Governo(1).
Balza agli occhi come, ancora una volta, anche per immaginare come fronteggiare la prossima emergenza, con il ritorno a una pseudo normalità che riguarda la vita di uomini e donne, ricchi e poveri, giovani e anziani, italiani e migranti, nord – centro- sud, cambiamento di sistema passato e ripensamento del futuro collettivo, si continui a perpetuare una caratteristica che si tramanda da secoli: la totale sproporzione nella rappresentanza di genere.
La Capitale disfatta e la disfatta della Capitale
Il Covid 19 ha strappato definitivamente il velo, mostrando la Capitale – e la sua classe dirigente – per quello che è.
É passato ormai un mese da quando sono scattate nella Capitale le restrizioni per far fronte alla pandemia Coronavirus: tutti chiusi in casa, cori e bandiere arcobaleno alle finestre, ma soprattutto una full immersion nei telegiornali, messaggi whatsapp e social, a reti unificate su un unico tema. Una situazione che amplifica paura e smarrimento, per tutti, ma più ancora per disabili, malati e anziani, le persone più a rischio in caso di contagio ma anche più svantaggiate nell’affrontare le incombenze quotidiane. Persone che non dovrebbero essere lasciate sole, che anzi dovrebbero essere accompagnate da una catena di solidarietà che le collega dalla sfera più prossima – i vicini di casa, di quartiere – alle istituzioni locali.
E poi ci sono i poveri, i migranti, i rom (1), i senza fissa dimora, persone per le quali l’emergenza di oggi rende ancora più drammatico il disagio di sempre.
su Costituzione, diritti e emergenza
Il diritto ai tempi del coronavirus: come cambia la nostra vita e perché. di Maurizio Bozzaotre
Scarica Giustizia Insieme Giustizia insieme Il diritto ai tempi del coronavirus
La tremendissima lezione del Covid-19 (anche) ai giuristi
1. Il quadro normativo
Un impressionante profluvio di fonti normative ha inondato il nostro ordinamento in meno di due mesi per gestire l’epidemia di COVID-19. A monte di questa alluvione sta la dichiarazione dello stato di emergenza, proclamato con la Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili), ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. c) del d.lgs n. 1 del 2018 (Codice della Protezione civile). La Delibera del Consiglio dei Ministri dichiara che è in atto il tipo di evento emergenziale più grave tra quelli previsti dalla normativa sulla protezione civile: la lett. c) si riferisce infatti alle «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24». E l’art. 24 prevede che con la dichiarazione dello stato di emergenza il Consiglio dei ministri autorizzi l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’articolo 25, che possono essere adottate «in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea. Le ordinanze sono emanate acquisita l’intesa delle Regioni e Province autonome territorialmente interessate e, ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate»[1]. A ciò ha fatto seguito la prima delle numerose ordinanze adottate dal Capo del Dipartimento della protezione civile del 3 febbraio 2020 che, tra l’altro, all’art. 3, ha indicato una lunga serie di disposizioni che possono essere derogate per la realizzazione delle attività indicate nell’ordinanza stessa.
La Costituzione italiana non prevede l’ipotesi dello stato d’emergenza né quella, assai diversa, dello stato d’eccezione[2]. Prevede solo lo «stato di guerra», che deve essere deliberato dalle Camere, le quali «conferiscono al Governo i poteri necessari» (art. 78 Cost.). Al di fuori di questa ipotesi, quando ricorrono «casi straordinari di necessità e d’urgenza», il Governo adotta decreti-legge, che devono essere presentati il giorno stesso per la conversione alle Camere, le quali, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni (art. 77 Cost.).
Stati di eccezione, Costituzione e presidio della democrazia
Propongo alcuni interventi sulla gestione governativa dell’emergenza Coronavirus rispetto al nostro ordinamento democratico: quello di di Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma su Il manifesto, quello di Gherardo Colombo, un ex magistrato, giurista e saggista italiano, su Il fatto Quotidiano, l’intervista a Gustavo Zagreblesky su la Repubblica
I pieni e solitari poteri del capo del governo extraordinem
di Gaetano Azzariti* – Il Manifesto – 20/03/2020
Stati di eccezione. Quel che più preoccupa è l’idea che in fondo si può uscire dall’emergenza con nuove, straordinarie regole anche per l’ordinaria amministrazione
Come tutelare la nostra democrazia costituzionale dalla pandemia? Anzitutto riconoscendo lo stato di necessità nel quale siamo precipitati, ma negando al tempo stesso ogni possibile generalizzazione.
Lo stato d’eccezione non è il paradigma fondativo le nostre comunità politiche, non è la regola, non può neppure essere legittimato come strumento di governo, deve invece nei limiti del possibile essere circoscritto. Se, infatti, non si può negare che la necessità “di fatto” assurga a fonte autonoma qualora provvedimenti siano necessari per fronteggiare esigenze improvvise e imprevedibili che mettono in discussione l’esistenza stessa dello Stato e della comunità di riferimento, non si deve accettare che terminato lo “stato di necessità” la rottura delle regole prosegua. In alcuni casi è la stessa costituzione a indicare i limiti dell’eccezione, in altri tutto avviene fuori da ogni previsione normativa, nel vuoto delle norme.
Così mentre la nostra costituzione prevede espressamente che si possano limitare le libertà di circolazione e di riunione per motivi di sanità, sicurezza o incolumità pubblica, essa appare più indeterminata sugli strumenti e i modi per far concretamente fronte ad una tale evenienza. Stabilisce – all’articolo 16 – che sia la legge in via generale a porre limiti, ma quali siano le specifiche misure da adottare non può essere stabilito “in via generale”.
L’emergenza Coronavirus è anche un test
In questa foto, scattata dalla mia finestra oggi 17 marzo 2020, si vedono delle persone sedute sulle panchine, ciascuna su una diversa, quindi a distanza regolamentare una dall’altra, sia nella piazzola di sinistra che in quella di destra. Nella piazzola di sinistra ci sono anche due moto, con due poliziotti che stanno parlando con un signore per l’appunto seduto sulla panchina. Passeranno anche sull’altro lato, e i tre della piazzola di destra si alzeranno e se ne andranno. Il signore a sinistra invece non ha nessuna intenzione di andarsene e si risiede. Così il poliziotto tira fuori dei fogli, non so se l‘autodichiarazione da compilare o un qualche verbale, e immagino che ci sarà qualche seguito sanzionatorio.
Cosa ne pensate? Che non c’è niente di male a stare seduto su una panchina a prendersi un po’ d’aria se non si sta accanto ad altri e che l’intervento della polizia è quantomeno eccessivo?
O che è giusto che chi non rispetta le regole che impongono di stare a casa e uscire solo per motivi validi – tra i quali non è compreso sedersi su una panchina per prendere un po’ d’aria – venga invitato a seguirle, e se insiste debba affrontarne le conseguenze?
Le due risposte appartengono a due modi di vedere le cose assai diversi, forse due mondi diversi.
Il Coronavirus e l’autonomia regionale differenziata
Un film di ormai 15 anni fa, The day after tomorrow, immaginava un’improvvisa glaciazione nel continente nord americano, e si concludeva con una colonna di superstiti statunitensi che si ammassavano alla frontiera del Messico, chiedendo asilo proprio dove avevano alzato muri per impedire ai migranti di oltrepassare i confini.
Con tutto il rispetto e la solidarietà per le persone che si sono ammalate, che subiscono danni economici, che sono preoccupate per sè e per i propri cari, penso che questa drammatica emergenza collettiva dovrebbe spingerci a qualche riflessione.
Fino all’altro ieri un pezzo dell’Italia, soprattutto il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna, spingeva per la cosiddetta “autonomia regionale differenziata”, per poter cioè trattenere il “residuo fiscale” nella misura di 9/10 dei tributi riscossi. Solo per la Lombardia circa 27 miliardi di euro che sarebbero sottratti al bilancio statale per gestire in autonomia le risorse per scuola, sanità, protezione civile e altro. Una vera e propria “secessione dei ricchi” che comporterebbe cittadini di serie A e di serie B, a seconda della regione in cui vivono, più ricca o più povera.